CRISTINA BALSOTTI


Biografia
Opere
Catalogo
Testi
Spazio
Scrivimi

Testi


Case di passaggio di Cristina Balsotti
Case di fango, di paglia, di mattoni, di cemento, di pietra; case in campagna,
al mare, in città; case in affitto, di proprietà, comprate, vendute,
ereditate, ipotecate, pignorate, all’asta, di lusso, povere, arredate,
vuote, chiuse, grandi, piccole, antisismiche, antincendio, a riscatto,
popolari, cantoniere, con garage, senza garage, con mansarda, con attico,
con cantina, senza cantina, calde, fredde, riscaldate, con fantasmi,
umide, fatiscenti, diroccate, restaurate, nuove, moderne, antiche,
medievali, rinascimentali, imperialiste, liberty, minimaliste, di cura,
per anziani, circondariali, di bellezza, di ristoro, di appuntamenti, abbandonate,
perse, regalate, del bambino, del detersivo, del fai da te,
della calzatura, della lana, casinò, casini.
Case di passaggio ... cassa di legno.


Lei è Cristina Balsotti, toscana di S. Croce sull’Arno, lunigianese nel profondo, “Piazza Roma, 9” è l’indirizzo della sua infanzia, sulla piazza della stazione ferroviaria di Aulla, oggi dismessa, che ospita la mostra.
Da tempo mi occupo del riciclo in arte, dagli objets trouvés neo-dadaisti a certi recuperi Fluxus, a forme aggiornate di Trash Art: in questo caso la stazione (riciclata) da contenitore è diventata parte dell’installazione, con tutto lo squallore dell’abbandono.
E’ piccola, è l’idea platonica della stazione, standard come ce ne sono dappertutto, simmetrica, démodée, sarebbe stata la location perfetta per un film neorealista o per uno della serie di Camillo e Peppone. Non ha le dimensioni delle Cartiere di Prato, l’appeal dell’Hangar della Bicocca o dei Magazzini della Dogana, è una stazione e basta.
Di solito, alla stazione la gente aspetta seduta; qui le sedie sono tutte diverse, occupate dal cappello di un viaggiatore virtuale che potrebbe tornare da un momento all’altro, come la poltroncina di Frida Kalho, la sedia di Louise Bourgeois, quella da bar/trattoria con molto rosso di Picasso, la Thonet di Jan Fabre, la regista di Bill Viola, quella di Giuliano Tomaino.
Le sedie (di recupero), insieme ai cappelli vengono ricoperte col cartone ondulato da Cristina Balsotti; è robusto e fragile, solido e debole.
Lo bagni e ne fai tutto quello che vuoi, lei dice: un ossimoro.
Modellato e spalmato di resina (quella delle barche), il cartone mantiene il colore e l’aspetto povero che gli sono propri, ma diventa consistente come la plastica; le sue asperità incuriosiscono, il visitatore è invitato a tastarne e testarne ruvidezza, peso, consistenza.
Gli artisti ai quali Balsotti si riferisce sono tutti legati al suo modo di lavorare, fanno parte della sua cultura d’immagine; in particolare, con Giuliano Tomaino la collaborazione dura ininterrottamente dal ’95.
Manca Beuys: la personalità del suo cappello è tale da non trovare sedie abbastanza grandi.
Perché ricoprire una sedia col cartone? Balsotti sostiene di voler trasformare il mondo circostante, e rivestire è uno dei modi possibili; tuttavia nascondere, dissimulare, cambiar faccia alle cose è anche un linguaggio simbolico: Isgrò nasconde parole, Balsotti sedie e cappelli.
Molte le metafore che ne possono derivare, dalla difficoltà di cogliere l’essenza del mondo reale, al nocciolo delle cose che sfugge, alla finzione insita nei media, alla poltrona come emblema del potere, alla riflessione sulle sedie delle camere di Van Gogh e Munch: che cosa nascondevano?
Alla stazione tutti stanno naso all’insù per cercare di leggere orari e ritardi. Qui i visitatori possono consultare grandi cuori in ferro che pendono dal soffitto, alcuni ricoperti da pizzi all’uncinetto, altri da cristalli o petali di rose bordeaux, omaggio ai fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto) di gozzaniana memoria, ironico, senz’altro kitsch, con un pizzico di noir, vagamente gotico.
C’è anche un grande pannello con fogli di carta assorbente e impronte di labbra, che proviene da una performance (l’idea delle impronte dei baci è nata durante un’edizione di Viamare, è un segno che mi piace): un tempo alla stazione ci si baciava per salutarsi, prima dell’avvento dei pendolari, e per Balsotti anche l’impronta delle labbra (sue o altrui) è un linguaggio, forse legato al ricordo.
Suo padre, sassofonista, le regalava infatti le ance usate (piccoli pezzi di legno a contatto con la bocca del suonatore, che vengono sostituiti ogni volta) e Balsotti le riutilizza.
Ad esempio, nella collezione di barchette (dei reali di Thailandia, con i petali; del Kenia, ciascuna con un oggetto; fabbricate col cartone effetto marmo o con i resti del sassofono), che ricordano le imbarcazioni rituali dei funerali egiziani e non solo.
Con le ance sono costruiti anche il piccolo trono in memoria del re del sax (suo padre), e quello con i componenti delle lampade navali, piccola sedia elettrica, tragica nella sua compostezza. Non mancheranno le casette, riconducibili alla collaborazione con Tomaino cui si deve la forma primaria (cubo + piramide), rese irriconoscibile dall’immancabile pizzo all’uncinetto.
La ricerca di Cristina è multisensoriale: le impronte delle labbra rimandano al tatto, ma anche al gusto, evocato senza essere rappresentato; i petali dei fiori all’olfatto e al tatto per la loro morbidezza, entrambi negati dalla resina, che li irrigidisce e conferisce loro un odore caratteristico, diverso dal dolce profumo di rosa. Anche il tema ricorrente del fiore stilizzato con quattro petali (omaggio a Warhol?) è olfattivo, ma rimane un tema, non un profumo.
Cartone e pizzo, trasformati e vetrificati, sono un invito al tatto; le ance rimandano alla fase iniziale della vita di ciascuno, quando conoscere significa succhiare e annusare, perché la vista non è ancora completamente sviluppata.
E il sassofono, che ricorre insieme alla figura scomparsa del padre, è l’udito, la musica, suggerita ma non eseguita. Manca anche il tintinnìo della campana che annuncia l’arrivo del treno, il grande assente dell’installazione.
Sono molte le assenze nel lavoro di Cristina, e questo potrebbe fornire la chiave di lettura per seggiole, poltrone e troni immancabilmente vuoti, rivestiti e travestiti.
Anche le stazioni, del resto, sono destinate a vuotarsi, nessuno ci vive, a parte gli homeless, i clochards. Man mano che la mia ricerca procede, voglio nettare, semplificare dice Balsotti, che procede per via di levare, citando Michelangelo (con la dovuta distanza), ossia provocando tanti piccoli vuoti, alla ricerca della sintesi.
Il tema ricorrente dell’assenza, in realtà, indica la necessità dell’artista di incontrare gli altri, di averli vicini: nei ritratti, ad esempio, tracciati con segno sicuro, da un contorno che è anche gesto, limpido ed essenziale, si riconoscono facilmente i visi di chi la circonda.
Si dichiara (ed è) libera e indipendente, ma il suo mondo non è autoreferenziale: fa parte dalla Tomaino Factory, un gruppo di artisti, un pool che si è consolidato intorno all’artista sarzanese nel 2010, e che collabora in allestimenti di mostre, operazioni di restyling (Hotel Michelangelo, Carrara), performances, readings e molto altro tra Liguria e Versilia.
Da vedere e da seguire.
Mara Borzone


Cristina Balsotti e il senso della sosta e della vita come viaggio
“Vecchia Stazione di Aulla grazie che torni ad accogliere gente in attesa di realizzazione di sogni e speranze. Nuovamente le tue sedie sono segno di una poetica sosta prima di iniziare un viaggio nel mondo della creatività e dell’arte.
L’arte di Cristina Balsotti che fin da piccola, è vissuta e cresciuta nella tua stessa strada, guardandoti già fin d’allora sognava e immaginava visite a meravigliose città, nazioni, continenti, affascinata dal miraggio dall’incontro con l’ignoto”.
Ricoperte di cartone modellato e colorato ad hoc da Cristina, le sedie che compongono questa singolare esposizione d’arte, sembrano desiderose ed orgogliose di mostrare l’importanza della missione a loro assegnata di offrire con la proprio presenza una sosta confortevole e una pausa rigenerante anche a importanti viaggiatori, ed ecco che la Balsotti rievoca queste persone e si immagina che andandosene vi abbiano lasciato, come ringraziamento, un proprio segno, come un’indelebile, invisibile ma inequivocabile impronta: il proprio cappello. Frida Kalo, Picasso, Jean Fabre e tanti altri artisti sono i veri protagonisti di questa originale proposta d’arte della Balsotti che – come sappiamo – di moda e di vita se ne intende e anche di viaggi e di sogni e ha aggiunto alle protagoniste – le sedie – nove grandi cuori che, appesi ad una quadrata intelaiatura di ferro, pare danzino, al
ritmico battito delle ruote sui binari, rievocando incontri, addii e abbracci e – perché no – inizio di viaggi nello spazio e nel tempo.
Grazia Chiesa luglio 2011


o Cà Pesaro
L’aria è sabbia
la sabbia è in aria
primordiali segni nascondono clessidre
che girano in tondo
cercando il tempo
pezzi di giornale
invenzioni di cronaca
di un quotidiano perso fra il fumo
di 100 sigarette
Vincent mangia i bambini
generosa e arcana C.B. si riflette nelle sue tele ,
nei suoi collages , nelle provocatorie performance
dove un contenitore della nettezza urbana
o una cassa di legno diventano cavalli di Troia .
Nel difficile cammino dell’arte C.B.
opera per opera ci lascia una traccia del suo talento,
delle sue insicurezze e del suo amore per la vita .
Con Cristina seguiremo questa traccia .
sia che ci porti a Cà Pesaro o in birreria .
Giugno 1995
Giuliano Tomaino


Conosco Cristina da molti anni e apprezzo il suo talento, affascinante mistura di semplicità, intuizione ed ironia.
Da tempo meditavo una sua personale, intesa come omaggio ad un’artista che è aullese verace e che fino ad oggi ha esposto in molti luoghi e tutti prestigiosi, come si evince dalla didascalia che la presenta; e se è vero – come si dice – che nessuno è profeta in patria, non volevo correre il rischio di aver sottaciuto, in patria, il suo valore per poi vederlo magari rivendicato da altri.
Si può dire che “Piazza Roma 9” sia un omaggio all’amore? Potranno i visitatori chiederlo direttamente all’artista anche se io sono convinta di si: l’amore dalle mille sfaccettature, che non è solo passione, erotismo ma anche amore per la conoscenza, per il passato, per i ricordi, è amore per gli affetti vicini e lontani, mortali ed immortali, è amore per le piccole cose custodite gelosamente perché nessuno le possa dimenticare o – peggio – portare via……
Ecco allora le sedie, foderate di materiale dismesso e dedicate ai grandi del passato (ma non solo…..!) quei grandi come Picasso, come Frida Kalho o Louise Bourgeois che non possono non avere segnato la vita artistica della nostra artista; ecco i cuori, uno dei motivi più ricorrenti nelle sue opere, grandi, pieni e tutti bifronti, resi quasi palpitanti da quella singolare colata di resina che tutto ferma e consacra; i ricordi, gli affetti, le piccole passioni sono come piccoli tesori, messi sotto vuoto e dolcemente protetti da un materiale (la resina) semplice e superbo al tempo stesso……
Con l’occhio che ride Cristina ci fa entrare nel suo mondo fatto anche di nostalgia sì, ma allegra, e fa di ogni pezzo un mondo a sé, esperienza da gustare centimetro per centimetro…..
La scelta della location, all’interno della vecchia stazione dismessa, è stata fatta assieme: mia l’intenzione di ridare dignità ad una zona troppo abbandonata, tutto di Cristina il legame con la piazza in cui ha abitato un po’ di anni fa: affascinante ci sembrava il rievocare la magia della vecchia stazione lasciandone intatto quel sapore “vissuto” di scritte che imbrattano i muri, di decadenza che si respira nell’aria, quel sapore ancora nell’aria di attese silenziose…….
Abbiamo cercato di creare un’alchimia tra arte ed abbandono, una fusione magica tra bello e brutto, nuovo e dismesso e se ci saremo riuscite avremo ottenuto un duplice scopo: promuovere la cultura, motore di ogni cosa, e dimostrare che, come disse Faber, “…. dal letame nascono i fiori”.
Alessandra Colombo